Perdonare ci aiuta a vivere meglio
In questo articolo parlo dell’importanza di perdonare non da un punto di vista “morale” (“Perdonare è giusto”), bensì “funzionale” (“Perdonare ti fa vivere meglio”). Questo perché la morale spesso non serve: tutti sappiamo cosa sarebbe giusto fare, eppure molto spesso non lo facciamo.
“Vedo la strada migliore e l’approvo; ma poi scelgo la peggiore.”
(Aristotele)
Perdonare per noi stessi, non per l’altro
Per cui continuare a dirci “Dovrei perdonare… Dovrei non prendermela…” non serve a nulla; anzi, aumenta lo stato di tensione dentro di noi (perché crea conflitto tra la parte che pensa di doverlo fare, e quella che si oppone). In effetti, mi sembra che nel 99% dei casi l’uso del verbo “Dovrei…” aumenti solo lo stress.
Invece, capire l’utilità pratica del perdono può magari aiutarci ad uscire dalla “prigione del risentimento”, ed a vivere con un maggior senso di pace. E’ un dono che facciamo prima di tutto a noi stessi, più che all’altra persona.
Di seguito elenco quindi alcuni punti essenziali per comprendere il significato del perdono (in senso funzionale invece che morale — appunto), e la sua necessità per vivere bene.
- Perdona per la tua “sanità mentale”
- Non puoi decidere che emozioni senti, ma puoi decidere come gestirle
- L'elemento chiave è l’accettazione
- Rinuncia al bisogno di “fare giustizia”
- Prima di perdonare, bisogna scaricare la negatività
- Comincia col perdonare te stesso
1. Perdona per la tua “sanità mentale”
Spesso il perdono non si dà per “nobiltà d’animo” o generosità di cuore (magari a volte, ma non in genere), quanto per la propria sanità mentale, per stare meglio noi stessi, per uscire da una spirale negativa. Lo si fa perché, anche se faticoso e impegnativo, poi stiamo meglio. Un po’ come quando medichi una tua ferita: è difficile perché al momento fa più male, ma sai che poi col tempo la ferita guarirà e ti sentirai meglio.
2. Non puoi decidere che emozioni senti, ma puoi decidere come gestirle
Abbiamo ben poco controllo sulle nostre emozioni, ma possiamo averlo sulle nostre azioni. Dipende dal tuo stato mentale: bambino o adulto. Il bambino reagisce, l’adulto decide. Se ti va bene che siano le tue emozioni a comandare la tua vita, oppure non sai fare altrimenti, è probabile che tu sia ancora in uno “stato psicologico bambino”, in cui non sei padrone di te stesso (l’adulto è “responsabile”, nel senso etimologico di “capace di rispondere”: cioè in grado di scegliere consapevolmente una risposta adeguata, invece di reagire istintivamente).
Facciamo un esempio pratico. Poniamo che mi abbiano fatto un’ingiustizia: mi rode, ci sto male, ho cercato se c’è un modo per risolvere, ho capito che non ne esistono… Posso decidere che ok, amen (“Così sia”), non mi piace ma mi metto il cuore in pace. Tanto se non ci posso fare nulla, perché continuare a starci male? Mi lascio alle spalle la cosa, e guardo avanti; ho di meglio da fare che rodermi il fegato.
3. L’elemento chiave è l’accettazione
L’accettazione degli eventi negativi non ci viene naturale (l’istinto, la nostra parte animale, reclama vendetta), ma può essere una scelta razionale, consapevole: accetto che la cosa mi fa rabbia, accetto che ce l’ho con quella persona, accetto che non ci posso fare nulla, accetto che il passato non si cambia, accetto che a volte la vita fa schifo*… ed arrivando ad accettarlo, non combatto più contro i “mulini a vento” (contro cose che non posso cambiare), ma trovo un certo senso di pace. Perché non sto più a fare la guerra all’impossibile.
* (questo accade perché la vita non è equa né morale, e non è al nostro servizio)
Quando smetto di combattere (“Dovrebbe essere diverso! Lei dovrebbe amarmi! Lui non doveva trattarmi così! Il mondo fa schifo…!”), esco da uno “stato di guerra” mentale e trovo una — relativa — pace. “Relativa” perché non è che improvvisamente sono sereno al 100% (quello è roba da Buddha, Gesù e Dalai Lama), ma sono molto più sereno di quando sono in conflitto con l’inevitabile.
Lascio cadere la pesante zavorra del rancore (il passato), e mi sento più leggero, vitale e positivo (nel presente). Non è che me ne dimentico, ma guardo in avanti, non all’indietro.
Per molti è difficile lasciar andare le proprie emozioni negative: poiché ci fanno sentire che “abbiamo ragione” (vedi punto successivo), ci sembrano preziose. Purtroppo però ci avvelenenano lentamente: restare attaccati alla rabbia è un po’ come bere del veleno, e aspettarsi che sia l’altro a morire. Invece l’altro non se ne cura, ma la rabbia corrode noi stessi (è provato che certe emozioni negative danneggiano la salute).
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Leggi l’articolo completo sul blog Psicofelicità: “Perdonare ci aiuta a vivere meglio”
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